Storia, Arte e Cultura


Si svolgerà domani 25 settembre, a Reggio Calabria, la manifestazione contro la ‘ndrangheta e di solidarietà ai magistrati reggini promossa dal Quotidiano della Calabria. Un modo per testimoniare la vicinanza a chi opera in prima linea contro la criminalità, ma anche un’occasione per aprire un confronto sui calabresi che vogliono assumersi le proprie responsabilità per arginare la mentalità mafiosa.

La criminalità organizzata, ormai ramificata in tutto il Paese, «non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici.

L’appello è a tutti i movimenti giovanili, politici e non, affinché aderiscano alla manifestazione di domani 25 settembre.

Lo sviluppo dei popoli si realizza non in forza delle sole risorse materiali di cui si può disporre in misura più o meno larga, ma soprattutto grazie alla responsabilità del pensare insieme e gli “uni per gli altri”.

Prendiamoci per mano e costruiamo insieme il nostro futuro. No ‘Ndrangheta!

Taniche di benzina sul balcone di casa, auto fatte saltare in aria o crivellate di proiettili, intimidazioni via citofono, foto di figli nel passeggino accompagnate da lettere di avvertimento. È difficile per chi non vive e lavora in Calabria farsi un’idea di cosa voglia dire essere cronisti (e magistrati, carabinieri, poliziotti) in una regione dove quello che sarebbe inaccettabile per qualunque giornalista diventa la quotidianità. Ma anche chi vorrebbe leggere di questa realtà e documentarsi fa molta fatica, perché le notizie calabresi raramente escono dai confini regionali.

Agostino Pantano, Ferdinando Piccolo. Giuseppe Baglivo, Michele Albanese, Gianluca Albanese, Antonino Monteleone, Angela Corica, Agostino Urso, Lucio Musolino, Riccardo Giacoia, Saverio Puccio, Giovanni Verduci, Michele Inserra, Giuseppe Baldessarro, Guido Scarpino, Pietro Comito, Leonardo Rizzo, Filippo Cutrupi: Sono solo alcuni dei giornalisti e dei blogger che hanno ricevuto minacce, che sono stati aggrediti, sequestrati, intimiditi. Non per aver fatto uno scoop planetario, né per aver necessariamente messo in mezzo un potente famoso. Ma per aver riportato notizie raccolte in questura, in tribunale, in caserma: la routine del lavoro di cronista.

In Calabria basta un articolo di ordinaria amministrazione per ricevere, puntuale, una pallottola in redazione. Nessun timore, nemmeno stavolta riusciranno a farci paura, a farci tirare i remi in barca. Le minacce non servono a niente, non ci spaventano, le rispediamo al mittente e sulla busta ci mettiamo anche la firma. Proiettili vaganti, buste. Tanti postini che però ci fanno capire una cosa, parte della Calabria non vuole cambiare, e soprattutto ci fanno capire che la strada che abbiamo intrapreso è quella giusta.

Scrivere ciò che si vede e si scopre è il nostro mestiere, continueremo a farlo in piena libertà, nella convinzione che così facendo riusciremo a rendere il giusto servizio alla comunità. Abbiamo il diritto di non essere eroi”, Dopo l’ennesima intimidazione proviamo a farci sentire, non per avere pubblicità, ma per non essere lasciati soli e per dichiarare la volontà di “lavorare in pace”. “Presto ci spareranno addosso, perché capiranno che le cartucce, le bottiglie incendiarie, le telefonate, le minacce mafiose perpetrate nelle loro più variegate forme non funzionano”.

Di questi inviati di guerra in casa propria si occupa anche un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno, Roberto Maroni e a loro Roberta Mani, giornalista di Mediaset, ha dedicato un libro, Avamposto-Nella Calabria dei giornalisti infami, scritto con Roberto Rossi. È lei che prova a fare da tramite con un pubblico non solo locale per conto dei colleghi di cui ha raccolto le storie.

Non è facile vivere in Calabria, non è facile scrivere di ‘ndrangheta, denunciare. Ma bisogna sacrificarsi per la libertà di informare. Ci hanno detto-siediti- e ci siamo alzati, ci hanno detto-non fare questo, non fare quello- e noi l’abbiamo fatto… Ci hanno detto- non scrivere- e noi abbiamo scritto e continueremo a farlo. Non saranno proiettili, buste gialle, lettere minatorie a fermarci. Non sarà una macchina bruciata a fermare il nostro ardore, a frenare la nostra rabbia.

Non ci avrete mai. È questo il motto che lega tutti noi. Continuo ad amare questa terra. Continuo ad amare Polsi, per me il paradiso terrestre. Polsi che mi ha svezzato con il mio primo articolo. Polsi, che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In questi giorni, il 4 settembre, avevo scritto di una strada che collega Polsi a San Luca. Una strada da sistemare da almeno venti anni. Scrivo di un appalto di 12 milioni di euro vinto nel ‘96 da una ditta di Crotone che era poi andata in fallimento e del subappalto concesso a un’altra ditta di San Luca il cui proprietario aveva dichiarato di non aver mai ricevuto denaro.

Nel corso degli ultimi anni mi sono sempre occupato di cronaca nera, seguendo i principali fatti della sua terra. In particolare mi sono occupato giorni fa anche del Santuario di Polsi e della Festa della Madonna della Montagna. “Un Santuario – ha dichiarato il vescovo di Locri, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, – in cui si è consumata l’espressione più terribile della profanazione del sacro ed è stato fatto l’insulto più violento alla tradizione religiosa”. Il riferimento è alle immagini di un summit tra gli uomini delle cosche della ‘ndrangheta nel santuario diffuse qualche mese fa. Ho scritto, anche del recente “via vai di politici e amministratori pellegrini per un giorno al Santuario, tutti presenti a parole per strappare la madonnina alla ‘ndrangheta e restituirla ai calabresi onesti e devoti”.

Vivere in Calabria, in una terra trafitta dall’odio e dall’arroganza di una cultura Mafiosa che nella società odierna si fa sempre più strada, trovando consensi tra la genti e le persone che confidano nella Madonna di Polsi che nello stato, sempre più assente nel territorio Calabrese, in particolare nella Locride, la mia terra dove la parola Stato non ha nessun significato.

Mi chiamo Ferdinando Piccolo e sono un ragazzo iscritto in giornalismo, a scienze politiche, collaboro con il quotidiano della Calabria, e sono corrispondente di San Luca e dei paesi limitrofi. Sono abituato a Descrivere una realtà stravolta dai continui fatti di cronaca che ci caratterizzano e ci contraddistinguono. Nella mia terra lo Stato non esiste, si è dimenticato di noi. O Ci sta solamente usando. La realtà è che a differenza della Sicilia, in Calabria la voglia di reagire non c’è , perché ci fa comodo avere un compare sempre a disposizione, pronto a soddisfare i nostri desideri.

La voglia di dire no alla ‘ndrangheta ha smarrito la strada, al Bivio tra San Luca e Bovalino ha scelto la terza strada, per l’isola che non c’è. Ormai siamo troppo abituati ad alzarci con la puzza di sangue e coricarci con i vestiti impregnati di ‘ndrangheta. Ma la Locride non è solo Spaghetti e Malavita. L’Aspromonte non è il paradiso terrestre dei latitanti, Ma è soprattutto una terra che ammalia, strega, con i suoi sentieri intersecati in piccoli paesi. È vita. La voglia di reagire può nascere, come una ginestra che attecchisce dove il terreno non lo permette perché come dice lo scrittore di San Luca Corrado Alvaro: “La disperazione più grave che possa impadronirsi d’una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile. Basta un atto, un gesto, una parola per ricordarti che sei un uomo” .

Ferdinando Piccolo, Bovalino (RC), 23 anni giornalista

Per un impegno etico politico che si rifaccia nei principi e nei progetti all’esperienza cristiana, e cattolica in particolare, non si può non riconoscere l’apporto fondamentale di Augusto del Noce.

Importante richiamare in particolare alcuni scritti risalenti al 1945, anno in cui l’emerito professore, nonché Senatore della Repubblica per una legislatura, li pubblicò sulle colonne del quotidiano torinese, organo della DC, “Il Popolo Nuovo”; riflessioni raccolte nel volumetto, edito da Marsilio, “Centrismo: vocazione o condanna?”. Ad incorniciare questi interessanti contenuti, quasi da contraltare, un’illustrante introduzione di Norberto Bobbio.

Rendere permeabile il senso e il significato di considerazioni altrimenti ritenute con superficialità reazionarie o grettamente conservatrici; a Del Noce riesce così di smarcarsi dal riottoso pericolo di decantare l’ordine sociale esistente, tipico disegno ostinato delle destre, senza comunque riconoscere alle sinistre quella portata innovatrice di cui si fanno portavoce senza riuscire a rifuggire forme di giacobinismo becero e violento. Oggi come allora, i nuovi giacobini infatti ritengono sia possibile affrontare la prevaricazione del fascismo (oggi strisciante e subdolo) solo opponendole altrettanta violenza, dando così vita al cosiddetto antifascismo che altro non è che <<un fascismo di senso contrario>>.

Da qui la necessità da parte del pensatore di proporre la DC come <<unica forza politica di mediazione>> fra destra e sinistra, in quanto partito di centro in grado di <<stabilire continuità tra il nuovo e la tradizione>>; ricorrendo all’esaltazione dei  <<principi eterni ed immutabili>> che regolano la Storia, è riuscito poi ad avvalorare la sua posizione distante da ogni forma di conservatorismo nostalgico e reazionario. Fondamentale dunque sottolineare come la filosofia di Del Noce sia tutta riferita alla fondazioni dei valori tradizionali, rilevando in essi non una lettera morta ereditata dai padri fondatori, ma bensì l’ago di una bussola orientato verso un impegno che voglia dirsi etico e politico.

Un pensiero fulgente illumina questi scritti: <<Centro è apertura al nuovo sull’orizzonte dell’eternità dei principi>>. Straordinariamente attuale questa considerazione, se si pensa che proprio in questo momento storico in Italia si sta lavorando all’attuazione di un grande progetto che, oggi come allora, vuol essere il luogo e la bambagia in cui far riposare un processo di moderatismo atto a frenare  quelle pulsioni più radicali che i due schieramenti faticano ad attenuare;  tutto questo è possibile, perché <<solo in questa difficile politica di centro e dell’impedimento che essa porta all’opposizione frontale delle destre e delle sinistre, sta la possibilità di salvare la libertà e la democrazia>>.

 Nelle riflessioni del pensatore cattolico questo partito viene considerato compendio di ideali e di progetti, di una politica di mediazione  definita dalla straordinaria energia della fedeltà creatrice, termine nuovo che sta ad indicare il potere intermedio che questa nuova forza politica può esercitare; non insomma il partito della “palude” in cui si darebbe l’impressione di commissionare un miserevole “doppio gioco”, accusa ancora oggi avanzata dietro la parvenza più moderna di “doppio forno”.

L’immagine della fedeltà creatrice è il perno di tutta l’analisi politica del filosofo; operando una corrispondenza tra questo nuovo gesto e la fedeltà del cristiano che, nel suo peregrinare in questa valle di lacrime che è la Storia, non fa che affidarsi in tutto e per tutto a quei principi che gli consentono comunque di costruire la speranza per il futuro, dimostra quanto sia realizzabile in Terra quella giusta forma di democrazia in cui si possano creare sempre più <<soluzioni nuove alla problematica sempre nuova che l’esperienza storica offre>>.

E qui è chiaro quanto il nesso tra democrazia e cristianesimo sia indissolubile, e sempre più nettamente si  evidenzia questa approssimazione laddove Del Noce rileva finalmente il supremo compito della democrazia: <<dare a tutti il modo di vivere e di esprimere liberamente la propria volontà>>.

Ora, ci chiediamo,  non si trova tra i valori fondanti del cristianesimo il presupposto del rispetto della persona?  E, di rimando, non è questa smisurata considerazione delle intenzioni di ogni miserrima individualità la condicio sine qua non per cui ogni progettualità possa riconoscersi veramente democratica e cristiana? La politica del cristianesimo esprime pertanto quella tanto agognata politica di centro a cui Del noce ripone particolare fiducia, in quanto appunto unica forma d’esercizio di potere che possa rivendicare <<nell’uomo un principio spirituale indipendente dalla società>>.

In una modernità accecata da un processo ineluttabile di secolarizzazione in cui gli spazi riservati alla fenomenologia del mistero e del soprannaturale sono sempre più esigui, in una società tecnocratica in cui i valori si eclissano sempre più lungo la linea dell’orizzonte nichilista, Augusto Del Noce ci sussurra in queste pagine di un ritorno alla visione religiosa; senza con ciò volerci invitare ad affrontare un’esperienza mistica in cui la politica si elevi a religione (questo avveniva con i totalitarismi), ma esortandoci ad esercitare il rispetto per ogni singola persona, come in ogni democrazia che si rispetti.

E come in ogni democrazia cristiana che si auspichi.  

 

di Pasquale Allegro, per la rivista “Insieme” di Lamezia Terme

 

Il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 20 maggio 2010, ha approvato (su proposta dei Ministri Tremonti, Bossi, Calderoli, Fitto e Ronchi) il primo decreto attuativo in materia in attuazione dell’articolo 19 della legge n. 42 del 2009. Si tratta del primo decreto legislativo di attuazione della legge sul federalismo fiscale.

Il decreto del Governo, individua e attribuisce, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni parte del demanio pubblico. Le maggiori risorse derivanti a regioni ed enti locali dall’alienazione dei beni saranno destinate, per il 75%, alla riduzione del debito dell’ente, e per la parte residua alla riduzione del debito statale.

Pezzi di Dolomiti, isolotti nel mare più bello, una manciata di fari, i locali del cinema «Nuovo Sacher» di Nanni Moretti e palazzi storici romani. Ce n’è abbastanza da fare impazzire gli immobiliaristi nella lista dei «beni disponibili» che il Demanio sta ancora stilando e che uscirà, nella versione definitiva e ufficiale, tra qualche settimana.

L’ente diretto da Maurizio Prato metterà, infatti, sul suo sito online a fine luglio l’elenco ufficiale e aggiornato dei beni.

Soddisfatto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che commenta l’inserimento in questa lista di parti delle Dolomiti come le Tofane, il Monte Cristallo o la ‘Croda del Beccò a Cortina insistendo solo sul trasferimento di competenze: “Mi sembra una cosa buona il fatto che pezzi così famosi delle Dolomiti, dichiarate tra l’altro patrimonio mondiale dell’umanità, ritornino alle loro comunità. Stiamo andando nelladirezione giusta, anche dal punto di vista dei simboli”.

Meno felice si è dimostrato Angelo Borrelli, leader dei Verdi. Il 50% del patrimonio trasferibile è concentrato al Nord. E se si include in Lazio (che ha il 27% grazie a Roma) si arriva al 76% concentrato in tre sole regioni. «Quello che prima era di tutti gli italiani verrà concentrato nella disponibilità di 4-5 regioni e i proventi delle alienazioni oltre a fare la fortuna dei poteri forti andranno a ripianare i deficit delle regioni del nord e del Lazio», conclude Bonelli.

L’Unione di Centro (UDC), già a suo tempo si era opposta al decreto legislativo votando contro,  sollevando non poche criticità e proposte.

Guardiamo con attenzione e preoccupazione la questione. Gli interessi in ballo sono tanti, speriamo solo che, sotto le vesti della valorizzazione e del federalismo demaniale, non si nasconda l’ennesima speculazione ai danni di tutti gli italiani e del patrimonio artistico culturale dell’Italia.

A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, diceva Andreotti.

Riceviamo e pubblichiamo da: Giovani UDC Calabria

Appello al Presidente Scopelliti ed alla Giunta regionale:
“Stiamo vicini agli imprenditori che vogliono investire nello sviluppo della Calabria”
L’esempio dell’Isola di Dino e del giovane imprenditore Matteo Cassiano deve rappresentare uno stimolo per tutti.

C’è una Calabria in movimento, una Calabria che produce e che non sta ferma, pronta a mettersi in discussione e ad affrontare le sfide dello sviluppo, senza paure.
C’è una Calabria giovane che vuol rialzarsi, più forte di prima e che non ci sta ad essere etichettata come l’ultima della classe. Ed è il caso di far riscoprire questo lato positivo di una terra che non è solo ignoranza, povertà e malavita, anzi.
La nostra è una terra ricca di risorse e di intelligenze nascoste e forse poco o per nulla incentivate e, proprio perché siamo coscienti di ciò, riteniamo opportuno e doveroso, da parte nostra, lanciare un accorato appello al Governatore Giuseppe Scopelliti, alla Giunta da egli presieduta ed all’intero Consiglio regionale: è necessario stare vicini, camminare fianco a fianco e tutelare coloro i quali, con coraggio e determinazione, hanno voglia di investire in Calabria.

In tal senso, non possiamo far altro che prendere ad esempio l’ammirabile iniziativa di un giovanissimo imprenditore, che senza tentennamenti alcuni non c’ha pensato due volte ad investire parte del proprio capitale su quella che è una vera e propria meraviglia della natura, un paradiso terrestre di cui pochi, ahinoi, conosco le bellezze, il fascino e le potenzialità di attrattiva turistica: l’isola di Dino.

La maggiore delle isole calabresi, sorge sulla costa nord occidentale del Tirreno cosentino, di fronte l’abitato di Praia a Mare, davanti Capo dell’Arena. Il suo nome deriva dal fatto che sull’isola sorgeva un tempio (aedina) dedicato a Venere.

Con passione ed audacia, il giovane Matteo Cassiano e la sua famiglia, stanno tentando di riconsegnare, alla Calabria e non solo, un angolo di bellezza naturale e paesaggistica che nulla ha da invidiare ad altri posti ritenuti “a grande vocazione turistica” sparsi in tutto il mondo.
Crediamo sia necessario, dunque, che la Regione, per tramite delle sue più alte cariche, avvii un confronto con queste realtà positive, oneste, con quelle energie nuove che operano sul territorio, a partire, perché no, dal giovane imprenditore Cassiano.

A partire, magari, da una visita all’interno dell’isola di Dino, anche e soprattutto al fine di lanciare un chiaro messaggio ai calabresi, volto a dar forza a chi non si arrende ed a chi, ancora oggi, crede nella rinascita della Calabria ed ha fiducia nel nuovo corso iniziato con la vittoria della coalizione di centro-destra e del Presidente Scopelliti.

Da parte nostra, continuiamo ad essere attenti, sensibili ed a registrare, sempre in modo positivo ed oggettivo, esempi reali di una società che ha l’obbligo morale di rimettersi in moto e di far riscoprire il vero volto della Calabria. Così come ci appelleremo, sempre e comunque, al Governatore Scopelliti ed ai nostri rappresentanti in seno alla Giunta ed all’Assise di Palazzo Campanella, ogni qual volta riterremo necessario ed opportuno far focalizzare, la loro attenzione ed il loro interesse, su argomenti e su vicende quotidiane degne di essere prese in considerazione e che possono senz’altro rappresentare un pezzo da aggiungere al puzzle della nuova Calabria.

Giovanni FOLINO
Responsabile Comunicazione – GIOVANI UDC Calabria
udcgiovani.calabria@libero.it

Le leggi fascistissime emanate fra la fine del 1925 e l’inizio del 1926 – la legge 24 dicembre 1925 n. 2263, sulle attribuzioni e prerogative del Capo del governo, e quella 31 gennaio 1926, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche – segnarono l’esautoramento del Parlamento e l’inizio del regime fascista.

Nell’aprile successivo, la legge 3 aprile 1926 n. … proibì poi lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati “legalmente riconosciuti”, quelli fascisti – che detenevano praticamente il monopolio sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 fra la Confindustria e le corporazioni fasciste – potevano stipulare contratti collettivi. In questa situazione, le opposizioni erano praticamente liquidate.

Il 16 gennaio i deputati popolari avevano deciso, in assenza di De Gasperi, di ritornare nell’aula di Montecitorio, in occasione della solenne commemorazione della regina Margherita, ma vennero brutalmente aggrediti ed espulsi dai deputati fascisti. Nel paese continuavano intanto le violenze contro i residui, limitati centri di opposizione; si moltiplicarono nel novembre ’26, dopo l’ultimo attentato a Mussolini.

De Gasperi, che si era nel frattempo trasferito in Trentino, fu prelevato dalla sua abitazione con il fratello Augusto, portato a Bassano da un ufficiale degli avanguardisti e da agenti in borghese, poi trasferito a Vicenza dove i fascisti del luogo lo sottoposero ad un processo sommario. Nei due mesi successivi visse a Milano, nascosto in casa di amici.

Il 9 novembre, intanto, De Gasperi era stato dichiarato decaduto da deputato, insieme a tutti coloro che avevano partecipato alla secessione dell’Aventino e ad altri parlamentari antifascisti. Lo stesso giorno il Prefetto di Roma decretava, sulla base delle direttive emanate da Mussolini, lo scioglimento del P.P.I. “Qualche cattolico collaborazionista ad oltranza ha tentato in questi giorni di far credere – aveva sostenuto De Gasperi all’ultimo Congresso del partito – che queste linee teoretiche e pratiche del fascismo rappresentino semplicemente un contrasto coi princípi e colla pratica del liberalismo classico […]. È indiscutibile, invece, che esse contrastano fieramente col concetto di Stato cristiano […]. Per noi prima dello Stato esistono i diritti naturali della personalità, della famiglia, della società […]. Il contrasto non è tra fascismo e liberalismo, come scuola e metodo transeunte, ma tra il fascismo e alcune esigenze fondamentali dell’organizzazione politica moderna; è il contrasto fra lo Stato di diritto, quale si è sviluppato nelle costituzioni moderne, ed il vecchio Stato di polizia che tenta di comparire sotto mutate spoglie”.

La serie delle violenze non era finita nel 1925:

il resto dell’articolo lo trovi  su www.degasperi.net

La tendenza all’unità è — mi sembra — una delle “costanti” della storia. Dapprima embrionali, appena abbozzati, gli aggregati umani entrano in contatto, quindi si agglutinano sino a formare un insieme più vasto e più omogeneo, poiché, non è un paradosso, più la società umana si dilata, più si sente una. Nel loro istinto oscuro, ancor prima che si faccia luce nei loro cuori, gli uomini portano già ciò che — secondo la parola di Cristo — Dio desidera da parte loro: Ut unum sint (Vangelo secondo Giovanni, XVII, 22).

Queste cose sono state dette da secoli, dai religiosi. Anche gli storici, da qualche tempo, si avviano a queste concezioni, e la presenza, a questo tavolo, di un Toynbee, ne è un alto attestato. Noi stessi, gli uomini politici, e il fatto ha del prodigioso, abbiamo adottato questo linguaggio; e la prova che non si tratta di parole al vento è là in quest’uomo lungimirante e lucido, che si chiama Schuman.

Né l’odio né la crudeltà sono alla base della vita. Molti filosofi, soprattutto i materialisti, pongono nella morte la fonte della vita; e a sentir loro, la legge del più forte condiziona il progresso nel cammino della nostra specie. Guerre di conquista, di prestigio, o di rivalità nel passato, lotte di classe oggi: ecco come si manifestano normalmente queste tetre dottrine.

Noi non vorremmo cadere in un equivoco, né trascinarvi altri; è per se stessa, non per opporla ad altri, che noi preconizziamo l’Europa unita. È una cosa che dobbiamo dire, in modo forte e chiaro: noi lavoriamo per l’unità, non per la divisione, foss’anche in pezzi più grossi. Significherebbe ingannarsi il sospettare nella nostra opera per l’Europa un tentativo per architettare qualche cosa che sia in grado di far fronte ai due blocchi oggi preponderanti. Sarebbe iniquo attribuirci delle tendenze esclusive quando parliamo di Unione Europea. D’altra parte soltanto dei sofisti potrebbero chiederci perché ci limitiamo a certi paesi.

Non è onesto rimproverarci di escludere il resto dell’umanità. Forse che, quando si ama una donna e la si sposa, si firma perciò una dichiarazione di odio a tutte le donne? La famiglia che noi creiamo non esclude nulla: essa crea come cellula agente la città. A sua volta, la città crea la nazione, infine le nazioni creano… che cosa? La parola manca in assenza della cosa. Quanto alle nazioni europee, esse creano l’Europa. Per ubbidire alla tenenza unitaria, il XIX secolo ha lanciato il principio della nazionalità. Ai nostri giorni la nazione è discesa al rango che occupava ier l’altro la città, ieri la provincia: è a più vaste società che oggi le nazioni guardano.

Quanti clamori vennero dalla città ieri l’altro, dalle province ieri, mentre sorgevano le nazioni. Noi ci stupiamo se le nazioni fanno a loro volta un po’ di baccano. Ben pochi governi italiani volevano l’Italia unita; al di fuori di un pugno di “esaltati” — è così almeno che li chiamavano — nessuno ci teneva veramente. L’Italia, malgrado tutto, si è unita e rimarrà unita. Accadrà fatalmente la stessa cosa per l’Europa.

L’Europa esisterà e nulla sarà perduto di quanto fece la gloria e la felicità di ogni nazione. È proprio in una società più vasta, in un’armonia più potente, che l’individuo può affermarsi, dar la misura del propriogenio.

Alle olimpiadi, non nelle corse di provincia, venivano selezionati i migliori. Da quando si sente unita praticamente nel campo degli studi (questa unità è ormai cosa fatta) l’umanità studia meglio e più rapidamente, ciò che le permette di giungere a scoperte sino ad allora inimmaginabili; non appena essa si sentirà unita col cuore sbarazzata dalle impossibili barriere, l’umanità potrà anche realizzare più rapidamente il suo sogno di onesto benessere, la sua speranza, sempre chiusa, di pace laboriosa.

Il fatto è che non si può giungere all’unione per mezzo di misteriosi “ukase”, di decreti reali, repubblicani o ecclesiastici: l’unione è il frutto di un mutuo consenso e questo mutuo consenso è per sua natura libero e lento.

Unirsi, è presto detto. Come italiano e cristiano non esiterei a dire che, nella sua parte migliore, l’Europa è già unita, è tutt’uno. Esiste una storia europea come esiste una civiltà europea.

Fra i fattori individuali che si trovano alla base della nostra unità, quali sono i più salienti e perciò suscettibili di un’azione concreta? A quali fonti comuni si sono dissetati la maggior parte degli europei? Io non sono né uno storico né un pensatore: è perciò dagli uomini illustri che onorano con la loro presenza questa conferenza che io attendo la risposta a queste domande.

Quanto a me, non vorrei fondare il mio sentimento di europeo sul solo fatto che mi sento cittadino di Roma e cristiano. Per quanto riguarda Roma senza alcun dubbio essa è stata grande; personalmente io vi vedo il vertice, forse il più elevato, di quanto ha offerto la storia civile e politica degli uomini; ma in Europa non vi è soltanto Roma. Come trascurare o mettere da parte l’elemento del Vicino Oriente, l’elemento greco, l’elemento delle coste africane del Mediterraneo, l’elemento germanico, l’elemento slavo?

Inoltre, parlare di Roma è parlare di una cosa assai bella, ma anche assai antica. Nell’intervallo vi sono stati duemila anni di storia, di storia europea. Una volta, in Italia ogni città era capitale, con le sue leggi proprie e la sua ragione di Stato, le sue arti e la sua poesia, le sue chiese e i suoi palazzi. Ugualmente, in Europa i paesi erano innumerevoli. Quanto alla sua storia, essa è stata immensa nel tempo e senza frontiere, al punto che in alcune epoche tutti gli uomini hanno visto in essa “un giardino del mondo” se mi è permesso riprendere la frase di Dante sull’Italia, “giardino dell’Impero” (Purgatorio, IV).

L’Europa che non è soltanto Roma, non ^neppure la sola era antica; essa è il Medio Evo, è l’epoca moderna, è l’ieri, è l’oggi. Tutti questi elementi si uniscono. Nessuno di essi potrebbe essere escluso o minimizzato. Le voci di tutte le epoche si armonizzano nel concerto europeo. Essi si fondano in una tradizione le cui radici sono classiche, ma che si estendono in ramificazioni lussureggianti e folte, una tradizione che ci ispira unendoci.

Ancora recentemente, taluni ci hanno accusato, noi i sostenitori dell’Europa, di stabilire nell’ombra una sorta di indentità tra Europa e cristianesimo o per meglio dire, tra l’Europa e il cristianesimo cattolico. Prima ancora che infondata questa accusa è sciocca.

Permetteteci tuttavia di ricordare che il cristianesimo, essendo ai nostri occhi una cosa divina, appartiene e si indirizza a tutti gli uomini. Farne una cosa soltanto europea sarebbe limitarlo, degradarlo.

Daltra parte come concepire un’Europa senza tener conto del cristianesimo, ignorando il suo insegnamento fraterno, sociale, unitario, Nel corso della sua storia, l’Europa è ben stata cristiana; come l’India, la Cina, il Vicino Oriente sono quelli che sono stati sul piano religioso. Come escludere dall’Europa il cristianesimo?

So bene che anche il libero pensiero è europeo. Ma chi di noi ha mai sognato di prescriverlo nell’Europa libera che vogliamo edificare?

Sopratutto, il cristianesimo è attivo, perennemente attivo, nei suoi effetti morali e sociali. Esso si realizza nel diritto e nell’azione sociale. Il suo rispetto per il libero sviluppo della persona umana, il suo amore della tolleranza e della fraternità si traducono nella sua opera di giustizia distributiva sul piano sociale e di pace sul piano internazionale. Ma simili princìpi non possiamo realizzare senza la pace; è in quest’ultima che lo spirito di collaborazione troverà il suo pieno slancio.

In che consiste dunque l’unità dell’Europa? La cosa è ben chiara, miei cari amici: nei suoi elementi l’Europa è già unita; disgraziatamente nei suoi elementi materiali non lo è. In altri termini vi è un’altra Europa, ma è difficile definire la luce oppure l’amore. L’Europa esiste nella sua essenza, ma è visibilmente sminuzzata e tagliuzzata da divisioni territoriali, barriere economiche, rivalità nazionali. Le lingue — come ci hadimostrato l’eminente signor Lofstedt — non costituiscono una difficoltà reale, come d’altra parte i costumi.

L’Europa esiste, ma è incatenata, sono questi ferri che bisogna spezzare, le nostre strutture politiche accusano terribilmente la loro arterioscleresi.

Durante il dibattito, tutti questi illustri pensatori ci diranno i princìpi cui deve ispirarsi la nostra opera di costruttori.

Mi sia permesso tuttavia di enunciare alcune osservazioni frammentarie a titolo personale:

1. È vero che soltanto alcune nazioni europee affrontano oggi col coraggio delle decisioni costruttive l’idea dell’unione, ma ciò si deve solo ad uno stato di cose a carattere contingente: la Gran Bretagna sente assai fortemente i suoi legami con l’Impero; la Russia divaga nell’ebrezza del comunismo. Ma l’Inghilterra fa parte dell’Europa, e della migliore Europa, ma la Russia stessa fa parte della più grande Europa da cui ha tratto anche, disgraziatamente, la dottrina comunista.

2. Per unire l’Europa, vi è forse più da distruggere che da edificare; gettar via un mondo di pregiudizi, in mondo di pusillanimità, un mondo di rancori. Che cosa non occorse per fare una Italia unita là dove ogni città aveva imparato a detestare la città vicina durante i lunghi secoli della servitù? Bisognerà fare la stessa cosa per arrivare all’Europa. Parliamo, scriviamo, insistiamo, non lasciamo un istante di respiro; che l’Europa rimanga l’argomento del giorno.

3. Ma, soprattutto, i governi devono mostrarsi più risoluti quando si tratta di sbloccare i loro paesi. Bisogna ridurre le barriere che si oppongono al movimento di uomini e delle cose, orientare tutto verso una cooperazione piena ed intera, verso una equa distribuzione; tutto ciò, come ho detto, nella pace. Non vi sorprendano le mie affermazioni categoriche in un momento in cui un problema di frontiera è così dolorosamente vivo in Italia; l’unione degli Stati si fonda sull’unità delle nazioni non sulla loro disgregazione. Si tratta di una questione che dipende ormai dai problemi dell’edificazione europea, e, per risolverla,noi facciamo appello ai metodi pacifici della cooperazione internazionale e al diritto dei popoli.

Per quanto riguarda le istituzioni bisogna ricercare l’unione soltanto nella misura in cui ciò è necessario, e, per meglio dire, in cui è indispensabile. Preservando l’autonomia di tutto ciò che è alla base della vita spirituale, culturale, politica di ogni nazione, si salvaguardano le fonti naturali della vita in comune.

Quale deve essere la nostra parola d’ordine? A mio parere, l’unione nella varietà, la varietà delle forze naturali e storiche. Si potrà arrivare a questa direzione di marcia se si potrà marciare verso un nuovo umanesimo europeo; nel rispetto delle tradizioni, nello slancio verso il progresso, nell’esercizio della libertà.

Giuseppe Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo).

Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi, partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1976 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto.

Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiavano mafiosi e politici. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.

Stampa, forze dell’ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e di suicidio, dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti mesi prima. L’uccisione o, come si fece credere, l’incidente non destò il clamore dovuto, forse anche per il fatto che lo stesso giorno veniva ritrovato, in via Caetani a Roma, il corpo del presidente della DC Aldo Moro, a cui abbiamo dedicato il nostro affettuoso pensiero nel precedente articolo.

di Giovanni Folino (Responsabile Comunicazione – GIOVANI UDC Calabria)

“Le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi ad esprimere il de profundis, il grido, il pianto, dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce.

Signore, ascoltaci, e chi può ascoltare il nostro lamento? Se non ancora tu, o Dio della vita e della morte, tu, non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico… Fa o Dio, Padre di misericordia, che non sia interrotta la comunione che pur nelle tenebre della morte ancora intercede tra i defunti da questa esistenza temporale e noi tutt’ora viventi in questa giornata, di un sole che inesorabilmente tramonta, non è vano il programma del nostro essere di redenti; la nostra carne risorgerà! La nostra vita sarà eterna! Noi, Aldo, e tutti i viventi in Cristo, beati nell’infinito Iddio, li rivedremo. Signore ascoltaci. E intanto, o Signore, fa, che placato dalla virtù della tua croce, il nostro cuore sappia perdonare l’oltraggio ingiusto e mortale inflitto a quest’uomo carissimo e a quelli che han subito la medesima sorte crudele. Signore ascoltaci”.

Vogliamo ricordarLo così, con le parole pronunciate, nel corso dell’Omelia funebre celebrata in Suo onore, nella basilica di San Giovanni in Laterano, dal Sommo Pontefice, Paolo VI: era il 13 Maggio del 1978.
Affinchè il Suo sacrificio ed il Suo ricordo resti indelebile nelle nostre memorie e nelle nostre menti, ricordandoci che Aldo Moro è ancora insieme a noi.
Vive attraverso gli insegnamenti profondi di uomo di Fede e di politico particolarmente legato ai Valori ed agli Ideali dello Stato.

Non sta a noi, ora, ricordarne le qualità e le virtù: è la storia a testimoniarle.
Sta a noi, piuttosto, conservarne l’eredità umana e politica, e farne tesoro prezioso, per un impegno cattolico che possa essere sempre più congiunto alle Istituzioni italiane e sempre più protagonista.
Il giorno in cui ricorre l’anniversario della morte dell’On. Aldo Moro, è atto dovuto condannare, oggi come ieri, il terrorismo e tutto ciò che esso ha significato: una pagina buia e triste della storia d’Italia.
Oltre al Presidente Aldo Moro, il nostro ricordo va anche a Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi (gli uomini della Sua scorta) ed a tutte le vittime del terrorismo.

di Giovanni Folino (Responsabile Comunicazione – GIOVANI UDC Calabria)

“Non può esservi futuro alcuno senza un passato da cui trarre insegnamenti e lezioni e che rappresenti, allo stesso tempo, un patrimonio di immane ricchezza, da custodire gelosamente e da tramandare di generazione in generazione” – è quanto sostengono i Giovani Udc Calabria, in una nota stampa firmata dal responsabile regionale della Comunicazione, Giovanni Folino, in occasione delle celebrazioni per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

La storia d’Italia – con i valori e gli ideali che l’accompagnano e che, nei secoli, l’hanno caratterizzata – al di là di ogni altro significato, è un qualcosa di strettamente personale che appartiene ad ognuno di noi.
Con le sue luci (molte) e con le sue ombre (poche), spesso ha avanzato, di pari passo, insieme alle vicende ed agli avvenimenti storici del continente europeo e del mondo intero.
Il passato e la sua storia, dunque, fanno più che mai parte della nostra attualità e, in un certo senso, sono parti essenziali di quelle basi sulle quali costruire il nostro futuro. Basi solide, che trovano ancor più spessore in quella che è una data emblematica nella storia e nella vita di questa Nazione: il 1861.
A 150 anni di distanza, l’Italia celebra l’Anniversario della sua Unità.
Celebrazioni che, da nord a sud ed in qualsiasi piazza o luogo di questo Paese, ridonano splendore e luce ai sentimenti di orgoglio e di fierezza che legano il popolo italiano. E non si può assolutamente dar torto al nostro Presidente della Repubblica, quanto afferma, con forza, che “non è retorica il recuperare motivi di fierezza e di orgoglio nazionale: ne abbiamo bisogno. Ci è necessaria questa più matura consapevolezza storica comune, anche per affrontare con l’indispensabile fiducia le sfide che attendono e già mettono alla prova il nostro Paese, per tenere con dignità il nostro posto in un mondo che è cambiato e che cambia”.
Gli italiani, tutti ed indistintamente, devono far proprie le parole pronunciate dal Capo dello Stato e, da esse, tirar fuori ed acquisire quei sentimenti e quegli impulsi necessari ed indispensabili per aggredire, con coraggio, le sfide del futuro.
Sfide che non possono essere affrontate ignorando la memoria storica e, soprattutto, le ragioni che hanno portato a costruire, con sacrifici di non poco conto, un’Italia unica ed indivisibile.
Le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, pertanto, siano momento di conciliazione nazionale, accantonando polemiche e divisioni politiche ed ideologiche, affinchè si continui a dare un senso a ciò che è stata, a ciò che è e che sarà l’Italia, onorando i nostri Padri fondatori e tutti quegli eroi che, con il sacrificio della vita, ci hanno concesso il dono dell’Unità e della Libertà.
Ebbene: riflettano le nuove generazioni sul messaggio e sul significato delle celebrazioni dell’Unità d’Italia ed avviamo, insieme alle Istituzioni, un confronto ed un dibattito propositivo e costruttivo, partendo dalle nostre radici e ricordando a noi stessi, sempre e comunque, che l’Italia è e resta UNA ed INDIVISIBILE e che nessuno, mai, potrà mettere in dubbio i Valori fondanti di questa Nazione.

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