Nelle recenti elezioni regionali, i due grandi partiti italiani hanno perso voti. Ma grazie soprattutto al vero vincitore di questa consultazione, il partito xenofobo e razzista di Umberto Bossi, la Lega Nord, il premier Silvio Berlusconi ha visto migliorare la situazione del centrodestra sulla mappa elettorale d’Italia.

Gli italiani hanno votato con un po’ di fastidio. Siamo andati alle urne, in 13 regioni su 20, il 63% dei 41 milioni di cittadini che ne aveva diritto: un calo di 8 punti rispetto alle regionali del 2005.

Quello che si osserva analizzando i dati elettorali è una stanchezza generalizzata, salvo nel caso della Lega, che però resta per il capo del governo un’alleata scomoda. Il Popolo Della  Libertà , cioè Berlusconi, ha ottenuto il 26,78% dei voti: 10 punti percentuali in meno rispetto alle politiche del 2008. Il Partito Democratico, che ha preso  il 26,10%, ne ha persi 7.  L’Unione di Centro conferma i suoi  voti con il 5,57% e l’Italia dei Valori cresce quasi di 3 punti con il 7,27%.

Invece la Lega, con il 12,8 %, ha battuto di 3 punti percentuali il suo stesso record  e ha conquistato il Veneto e soprattutto il Piemonte, una regione industriale tradizionalmente di sinistra, che si presumeva fosse impermeabile al localismo di Bossi. Il quale, accantonati i deliri secessionisti, cerca ora di introdurre un federalismo fiscale asimmetrico, in cui le regioni più ricche dovrebbero sostenere un carico minore nella distribuzione delle risorse.

Il leader federalista, che ha definito “uno tsunami” il suo successo , è una spina nel fianco di Berlusconi perché il Cavaliere, in quanto capo della destra , deve governare un paese in cui il Mezzogiorno continua ad essere il fanalino di coda .

Il risultato è un paese affaticato , deluso dalla politica, che di fronte allo smarrimento del centrosinistra e dei partiti minori preferisce quelli che puntano sull’anti-politica, come la Lega e Berlusconi.

El Paìs, lo definisce un ripiegamento dell’Italia su se stessa, non diverso da quello che si sta verificando in altri paesi.

La Lega obbligherà il governo a pagare un prezzo molto alto per la sua vittoria elettorale. Secondo l’istituto Cattaneo , le regionali hanno trasformato radicalmente i rapporti di forza nel centro destra: nel 2005 il partito di Bossi e del ministro dell’interno Roberto Maroni aveva un peso pari al 16% all’interno della coalizione di governo. Oggi questo peso è raddoppiato, passando al 31%. E’ una cattiva notizia per Silvio Berlusconi , ma anche per il presidente della camera  Gianfranco Fini che, in attesa del dopo Berlusconi, si presentava come il leader della destra moderna e moderata. La crisi del Partito della Libertà non si è fatta aspettare,  a meno di due settimane dalla chiusura delle elezioni, Fini minaccia la scissione.

Secondo Fare Futuro web magazine, alla base dei “malumori” di Fini c’è soprattutto la presa di coscienza che il Pdl di oggi non è quel partito moderno, europeo, ambizioso, in grado di rappresentare l’elettorato moderato di tutto il Paese. Un partito che ha una leadership indiscussa, ma che sembra deficitario sotto tutti gli altri punti di vista, da quello organizzativo a quello programmatico, da quello della rappresentanza territoriale a quello della formazione del consenso, come dimostrato dalle ultime tornate elettorali. Un’emorragia di voti che ha prodotto danni limitati perché è sfociata prevalentemente nell’astensionismo, ma che potrebbe premiare nel medio periodo la Lega più di quanto non sia già accaduto.

Proprio il rapporto con la Lega costituisce una delle questioni-chiave sul tavolo del confronto tra Fini e Berlusconi. Il presidente della Camera l’ha riassunto recentemente in una battuta: «Tra la fotocopia e l’originale, gli elettori scelgono l’originale». Può sembrare una forzatura, un’estremizzazione, ma non lo è. Molte polemiche originate dalle esternazioni di Fini, ad esempio sul tema dell’immigrazione, sono state lette come una volontà di uscire dalla linea del Pdl. Ma le polemiche sui medici-spia o sui presidi-spia, così come quelle sui respingimenti sono state in realtà “terreno di scontro” tra Fini e la Lega, non tra Fini e il Pdl.

La questione cruciale è cosa sia e dove vada il Pdl e quale sia l’idea di Italia del primo partito nazionale.  A oggi questa idea sembra alquanto vaga. E in questa vaghezza generale, il partner minoritario di coalizione (la Lega appunto) diventa sempre meno minoritario. Questo è lo snodo fondamentale. Se il Pdl continua a subire la forza relativa del suo alleato di governo e ad appiattirsi sulle sue posizioni, le conseguenze in termini politici saranno inevitabili: al Nord l’ “originale” continuerà a erodere consensi alla “fotocopia” e al Sud il malcontento generato dall’asse nordista Berlusconi-Bossi continuerà ad aprire varchi ad eventuali fuoriuscite o scissioni, come insegna la vicenda siciliana.

Dunque, le questioni poste sul tavolo da Fini sono diverse, ma rimandano essenzialmente alla “forma” e alla “sostanza” del Pdl. Cos’è e cosa vuole essere il Popolo della libertà? Qual è la sua forma-partito? E soprattutto qual è l’Italia che ha in mente? C’è ancora spazio per una politica per il Mezzogiorno, per la questione giovanile e generazionale, per un’idea dell’immigrazione e della cittadinanza moderna e coraggiosa, per un senso dello Stato e di appartenenza nazionale che continuano a essere drammaticamente deficitari, per una classe politica in grado di guardare oltre l’ “eterno presente” che azzera la capacità strategica e di visione del futuro, dilatando gli spazi per gli atteggiamenti di volta in volta tattici, populistici, clientelari o antipolitici? È lecito che all’interno del primo partito nazionale si pongano queste domande senza per questo essere etichettati come cospiratori o traditori?

Insomma, dietro questi interrogativi ci sarà anche il futuro di Fini e dei finiani, ma c’è soprattutto il futuro del Pdl, della destra italiana e di un Paese che oggi più che mai ha bisogno di una classe dirigente che indichi la strada, non di una classe “diretta” troppo spesso dalla pancia degli elettori.  Negare l’esistenza di questi problemi o riversare l’onere della perdita di consensi sulle spalle del presunto cospiratore è un atteggiamento di comodo, decisamente miope e che confida nelle enormi (ma non infinite, né immortali) capacità taumaturgiche di Berlusconi. Come si tradurrà in concreto questo showdown lo vedremo nei prossimi giorni, a partire dalla direzione nazionale del Pdl convocata per giovedì prossimo.

Concludo con una domanda: possiamo lasciare nelle mani della Lega Nord, partito xenofobo-razzista, partito che sfrutta e fa leva sulle paure create dalla globalizzazione, dalla crisi economica e dall’immigrazione, le sorti di questo paese? Possiamo lasciare questo paese in mano a Silvio Berlusconi?

La mia risposata è NO! Non staremo di certo a guardare lo sgretolamento della nostra nazione inermi, insieme si può, bisogna rimboccarci le maniche ed essere uniti!

Il futuro appartiene a coloro che trasmettono alla prossima generazione motivi per sperare. Pierre Teilhard de Chardin.