La costruzione di confini pare accompagnare l’intera storia umana. E’ ormai assodato, come riportato in altri articoli, che alla base delle distinzioni più generali che le società sono capaci di instaurare, per esempio quelli tra “noi” e “loro” vi sia una continua opera di “costruzione di confini”. Queste distinzioni sono sempre ottenute mediante l’enunciazione di discorsi che hanno lo scopo di produrre delle specificità, a cui ricondurre la propria identità definita in contrapposizione ad altre.

Nel mondo odierno l’identità è divenuta problematica, di fronte alla crisi dei governi ed all’attuale crisi economica, la de-nazionalizzazione spinta dalla globalizzazione, innesca reazioni di rigetto da parte di gruppi che nei nuovi scenari vedono una minaccia alle autonomie locali, la gente sente i nuovi centri decisionali come qualcosa di lontano , irraggiungibile , incontrollabile e li guarda con sospetto. A questo punto lo scenario diventa inquietante.

Il paesaggio sociale europeo e  mondiale, sembra oggi, essere cambiato irreversibilmente, infatti è ormai sempre più frequentemente evidenziata la difficoltà di assicurare una forza vincolante che mantenga unito l’ordinamento politico. Dai Balcani alla Palestina, dal terrorismo islamico all’esplosione in India del fondamentalismo indù, per arrivare al conflitto tra fiamminghi e valloni in Belgio, evidenziato nelle recenti elezioni del 13 Giugno, su cui ci vogliamo soffermare.

Il Belgio è uno Stato federale suddiviso in tre regioni: le Fiandre nederlandofone a nord, la Vallonia francofona a sud e Bruxelles, capitale bilingue in cui sia il francese che il fiammingo sono lingue ufficiali, comunità, che vivendo ormai in maniera indipendente l’una dall’altra, hanno progressivamente smarrito il sentimento nazionale che le aveva portate a formare uno Stato unitario.

Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, l’economia vallone, fondata su produzioni che entravano in crisi come l’acciaio e il  carbone, ha perso sempre più colpi a fronte di uno sviluppo fiammingo che perdeva i suoi tratti rurali e diveniva assai più attento alle innovazioni e all’export. Sempre più gli abitanti del nord sentivano quelli del sud come una palla al piede e sempre meno ne tolleravano le residue pretese, come quella di mantenere il bilinguismo, per chi lo volesse, in nome di un elementare diritto civile.

La tensione ha portato a una serie di arruffati aggiustamenti fino alla riforma del 1993, la quale in nome del federalismo ha creato un complicatissimo edificio istituzionale che nel giro di qualche anno avrebbe generato una quantità impressionante di conflitti nei quali la destra fiamminga riversava tutto il risentimento accumulato contro i «parassiti» valloni. La tensione tra la Fiandra fiamminga e la Vallonia francofona è dovuta soprattutto al fatto che la Vallonia ha grandi difficoltà, a causa della disoccupazione e della dipendenza dall’assistenza sociale. I movimenti separatisti fiamminghi vogliono dividere il paese per evitare che le Fiandre paghino per il Sud. Si pensi che il motivo del fallimento del governo di Yves Leterne, che ha portato alle elezioni di domenica, è dovuto ai contrasti all’interno della maggioranza, nati per le divergenze linguistiche tra fiamminghi e francofoni.

Il trionfo alle elezioni del 13 giugno, degli scissionisti fiamminghi del N-Va ha scosso il Belgio e l’Europa intera. È vero che la cosa era nell’aria da tempo, visto che nel paese della birra e delle patatine fritte da molto tempo spira un’aria nordista non dissimile da quella che ha fatto le fortune della Lega da noi, ma ora i timori di molti sono divenuti realtà.

Sono evidenti le analogie con quanto sta accadendo in Italia. Il Nord che si sente «schiavo» delle arretratezze del Sud, la Lega Nord che cavalca la stessa tigre demagogica dell’identità da affermare contro gli “altri”. Nell’attuale crisi politica e sociale, il Sud dell’Italia come nel Belgio, rischia di essere “tagliato fuori” dalla ridistribuzione delle risorse, e ridotto ad un “collettore di voti per disegni politici ed economici estranei al suo sviluppo.

Le «genti del Sud», siano «le protagoniste del proprio riscatto, ma questo non dispensa dal dovere della solidarietà l’intera nazione”. La prospettiva di riarticolare l’assetto del Paese in senso federale costituirebbe una sconfitta per tutti, se il federalismo “accentuasse” la distanza tra le diverse parti di una nazione. Potrebbe invece rappresentare un passo verso una democrazia sostanziale, se riuscisse a contemperare il riconoscimento al merito di chi opera con dedizione e correttezza all’interno di un “gioco di squadra”.